MICHELE RUSSO intervistato da CALCIO PADOVA TV:

“Sono Michele Russo nato il 31 Agosto 1986 a Genova. Il primo ricordo legato al mondo del calcio è sicuramente la mia prima partitella in una scuola calcio sotto casa , ricordo che allora mi portò al campo mio nonno e quando mi venne a prendere gli raccontai l’allenamento nei minimi dettagli, con il gol che segnai decisivo nella partitella finale!

Il gol per un difensore, è inutile che ce lo nascondiamo, è secondario perché un difensore le partite le decide nel reparto arretrato e non da solo ma con tutta la squadra; è normale che segnare e portare a casa i 3 punti mi dia soddisfazione a livello personale però il mio ruolo esso è un altro, quello di creare la compattezza col reparto difensivo e di portarla avanti questa è la cosa principale.

Mio figlio è mancino, al contrario di me, si ispira a Emerson forse!

Io son partito nelle giovanili dell’Entella, poi a 15 anni mi sono trasferito a Brescia per fare gli anni degli allievi fino alla Primavera. La parentesi curiosa è legata al Cervia, la trasmissione “Campioni” : un’esperienza nata un po’ per caso perché a Dicembre di quell’anno ho ricevuto una Telefonata, era di Ciccio Graziani: avevano bisogno di un giovane nel mio ruolo, perché come adesso c’era l’obbligo dei 5 di serie D, e tramite un procuratore fui segnalato. Ringraziai Graziani ma gli dissi che non era il mio ambiente, non me la sentivo, io avevo voglia di sfondare nel mondo del calcio non mi interessava altro. Avevo l’impressione che quello fosse un mondo riservato ad altri interessi. Lui cercò di convincermi e alla fine mi disse: “Facciamo così: vieni 2/3 giorni a provare e vedi come ti trovi poi se rimani della tua idea va bene torni a casa e amici come prima sennò rimani qui con noi a darci una mano”. Io andai e mi trovai molto bene effettivamente e vissi quell’esperienza il più spensierato possibile cercando sempre di continuare il mio percorso a livello calcistico senza pensare ad altro.

Devo essere sincero, non ho mai avuto un momento preciso in cui ho capito che il calcio sarebbe stato il mio lavoro, è stata una consapevolezza che ho maturato negli anni senza neanche rendermene conto anche perché io ho iniziato ad andar via di casa presto, a 15 anni, era inusuale per i miei coetanei e lì inizi a sperarci più che rendermene conto anche perché poi, come spesso accade, se non hai una buona educazione alle spalle a 15 anni non vale niente fare il settore giovanile in una squadra professionistica: tanti si perdono, non riescono a continuare quel percorso. Ho fatto tanti anni di dilettantismo in serie D, c’era sempre la speranza di fare il salto nei professionisti ma quel salto per un motivo o per l’altro non arrivava mai perciò quando ho fatto il salto son sempre stato molto prudente nel  pensare che forse ero riuscito a diventare professionista. Per questo che ti dico che non ho un ricordo ben preciso “questo è il momento che…” se non che il primo contratto da professionista che ho fatto ho pensato “dai da qui bisogna partire e rimboccarsi le maniche” ma non ho mai avuto la consapevolezza vera e propria.

Un aggettivo per ogni maglia che ho indossato? Per quanto riguarda la Lavagnese il miglior aggettivo che mi viene in mente non è un aggettivo ma è l’inizio perché è stato il mio approdo in una prima squadra, nel mondo dei grandi. Io avevo 17 anni e passare dal settore giovanile alla serie D non è stato semplice il primo periodo. L’Entella è casa mia, è passione, è amore, è una grande famiglia. Lì è dove molto probabilmente ho avuto i successi più grandi a livello di carriera, personale, e di squadra perciò non posso che avere ricordi magnifici poi tra le mura di casa avevano un sapore speciale! Dopo l’Entella la parentesi al Cremona è stato un gradino sotto al percorso che stavo facendo io, che era stato tutto un crescendo partendo dall D alla C2 alla serie B, ritornare in Lega Pro è stato un rimboccarsi le maniche e Padova la considero un po’ come una rinascita della mia carriera sia per gli stimoli che mi sta dando, che per quello che possa diventare. Innanzitutto un campionato si vince con la programmazione ma non intendo solo societaria, che non spetta a me, ma a livello di gruppo, consolidare uno spogliatoio e portarlo avanti anche nell’arco degli anni: credo che quella sia la base per poi creare una questione tecnica di un certo spessore, penso passi tutto dalla coesione di gruppo. E’ quella che stiamo cercando di costruire anche quest’anno e che stiamo riuscendo a trovare!

Pensando a me da piccolino, io partivo addirittura centrocampista, quindi mi ispiravo più a giocatori offensivi che non difensivi, ammiravo Zidane e guardavo lui in tutte le sue movenze, le sue giocate in tutto quello che faceva. Ora come ora è molto più difficile trovare un giocatore al quale ispirarsi perché crescendo riesci a cogliere più cose da più giocatori.

Arrivato a Padova non conoscevo la città, ne avevo solo sentito parlare bene, anche da ex giocatori come Cesar, uno dei miei più grandi amici nonché ex compagno di squadra. Avevo delle sensazioni positive quando è arrivata la chiamata, indubbiamente. Non solo la conferma di quello che mi aspettavo, ma di più. Mi sono trovato bene con la città e con l’ambiente calcistico, una sorpresa molto molto piacevole. Poi anche la mia famiglia sta vivendo un momento di grande serenità, da mia moglie ai miei figli, perciò questo sicuramente aiuta e fa piacere.

Tra 10 anni non mi sono ancora visto, mi fai una bellissima domanda alla quale però purtroppo non so rispondere adesso!

La felicità sono i miei figli, arrivare a casa, trovare un ambiente sereno e tranquillo, questo credo sia la base per poi avere successo anche in campo!”