Marco Ilari intervistato da CALCIO PADOVA TV:

“Nelle vacanze di Pasqua e Pasquetta sono stato a casa, è una scusa per riunirsi tutti insieme e festeggiare, poi quando noi al di sotto del Po ci riuniamo mangiamo parecchio (ride). Il primo ricordo legato al mondo del calcio? La prima partita che mio padre mi ha portato a vedere allo stadio, gli ultimi minuti di un Roma-Vicenza del 1996-97, 1-1 con un autorete se non ricordo male, vedere tutta quella gente mi ha fatto innamorare del pallone; in quel periodo la Roma non navigava in zone alte della classifica, ma io ero innamorato di Balbo e di Fonseca e per me era la squadra più forte al mondo. Il Derby di Roma significa tanto, noi la viviamo tantissimo soprattutto in settimana, purtroppo ha perso molto del suo fascino visto che non ci saranno tifosi sugli spalti, ma per le strade si vive alla stessa maniera questa rivalità, spesso questa partita rappresenta l’unico obbiettivo stagionale, soprattutto quando entrambe non lottano per obbiettivi di vertice. Purtroppo la Roma questa settimana ci arriva da favorita, di solito in questo caso non va benissimo… No, non faccio pronostici.

I miei primi calci al pallone per paradosso sono arrivati lontano da casa, da Roma. Mio padre fu trasferito a Milano per lavoro, ed io stavo vicino a Linate. Poi sono entrato nella scuola calcio della Roma, ma i miei primi calci veri reputo quelli dati per strada a Milano, sono quelli che mi hanno formato nella passione per questo sport. Ho cominciato a pensare al calcio come un lavoro quando sono entrato nel settore giovanile della Roma e li ho pensato veramente che potesse diventare qualcosa per cui avrei potuto fare affidamento nella vita. Un aggettivo per Roma? Storica. Un aggettivo per Padova? Stupenda. Penso che nel Veneto al di là di Venezia che è a parte, Padova non abbia niente da invidiare a Verona e Vicenza, ha tanto da dare, da far vedere e personalmente non pensavo ci fosse tutto questo. C’è tanto ed è piacevole viverla e ti fa star bene, in un certo senso è simile a Roma, di storia ce n’è tanta, c’è storia di tifo, una città legata alla propria storia e alla propria squadra. Il calcio per me è questo, non è tanto nei trofei e nelle vittorie, ma nelle sofferenze che si vivono nella propria squadra, come nei rapporti con la gente, sono le sofferenze oltre alle gioie che ti fanno unire il rapporto. Tra 10 anni? Non so dove sarò, spero e penso di poter creare una famiglia, avere dei figli, poter portare su un campo di pallone un piccolo pargolo. La felicità? E’ correre, volare e rincorrere un pallone”.