In foto, Domenica 21 febbraio 1960 Padova-Udinese 6-1. Da sinistra: Sergio Brighenti, Pinardi difensore Udinese, sullo sfondo Marino Perani e l’arbitro Genel di Trieste. Il portiere Bertossi. (in gradinata, sotto il cartellone Pizzolotto, un giovane Fernando Zanetto)

Il nostro Fernando Zanetto torna a raccontare la storia del Calcio Padova a modo suo.

Estratto da Padova Magazine numero 11

Ho iniziato a frequentare lo stadio Appiani a metà degli anni cinquanta e della prima partita a cui ho assistito, Padova-Legnano, ne ho già parlato (articolo a questo link). Oggi mi voglio soffermare su di un altro aspetto molto importante, il tifo. Breve parola, di sole quattro lettere, ma che racchiude in se tutto un mondo fatto di entusiasmo, di passione che porta poi ad incitare, sostenere e parteggiare per una squadra, sino a degenerare in alcuni casi ad un vero e proprio fanatismo, che con tutte le nostre forze e il raziocinio che ci deve sempre accompagnare, dobbiamo assolutamente condannare. Il tempo che inesorabilmente passa porta sempre con se dei miglioramenti, dei cambiamenti, a volte cose impensabili a tutti i comuni mortali, categoria alla quale penso di certo appartenere. Nel caso del tifo, di cui facciamo questa breve analisi, senz’altro qualcosa è cambiato. A Voi al termine di questa breve lettura arrivare a delle conclusioni sul come era ieri e come invece è oggi.

Ho assistito a molti incontri casalinghi del Calcio Padova dai 14 ai 18 anni, dal 1955 al 1960 per datarli, tutti campionati di serie A e le squadre ospitate all’Appiani ieri, con tutto il rispetto per il Lumezzane o il Sudtirol tanto per citarne alcune dell’Euganeo oggi, erano leggermente più blasonate. Queste al momento le avversarie del Calcio Padova e sarebbe facile e qualunquistico dire che sono quelle che ci meritiamo, siamo comunque certi che nel giro di qualche anno le avversarie di turno saranno più importanti, senza dimenticare che attualmente nella massima serie militano il Carpi, il Sassuolo e il Frosinone a cui tutti dobbiamo rispetto ed ammirazione. Non perdiamo il filo del discorso, torniamo al tifo. Già dal lunedì in vista dell’incontro della domenica successiva, si entrava in fibrillazione. I giorni di attesa interminabili, ma finalmente arrivava la domenica. Le partite iniziavano sempre alle 14.30, quindi a mezzogiorno si mangiava e verso l’una ci si incamminava verso lo stadio. Il mezzo di trasporto erano le gambe che a quella età, funzionavano bene. Mezzora prima dell’inizio ci ritrovavamo,una quindicina di ragazzi e qualche adulto nella zona medio alta della gradinata all’altezza della linea di centrocampo. Il nostro riferimento era un dottore, mi sembra di ricordare venisse da Ponte di Brenta, dove i meno giovani del gruppo dicevano fosse il Medico Condotto. Un uomo grande e grosso con un enorme bandierone che sventolava per tutta la partita e nessuno si sognava di farlo smettere. Lui era il riferimento, la chioccia per noi pulcini, vista anche la figura simbolica del Padova che era ed è la gallina. Lui dava i tempi di inizio e fine dei cori ed il nostro incitamento non poteva essere diverso dal classico: Co Co Dè – Co Co Dè ripetuto e gridato sino allo sfinimento. Si faceva a gara con i tifosi ospiti su chi riusciva a cantare con più decibel e chi durava più a lungo. Si pensava solamente ad incitare la propria squadra senza chiedere particolari aiuti alla lava di qualche vulcano o all’alta marea per portarsi via i simpatizzanti della squadra ospite. Tra tifosi c’era del rispetto reciproco e l’unico coro che usciva dalle nostre gole, era sul motivo di quello diventato famoso in quei tempi con il sceneggiato “L’Isola del Tesoro”, trasmesso dalla Rai, in bianco e nero, cambiandone il testo. I pirati del capitano Jonh Silver cantavano: “Quindici uomini sulla cassa del morto, hooo hooo e una bottiglia di rum”, che il dottore, la nostra chioccia, aveva sostituito con “Undici uomini biancoscudati, batton tutti gli squadron, hooo hooo, batteremo anche il o la …………, dove al posto dei puntini mettevamo il nome della squadra avversaria di turno. Questo era il solo e unico modo di tifare per i nostri beniamini, diverso da quello che si sente oggi in alcuni stadi, con parte dei tifosi impegnati più a deridere e a volte offendere gli avversari, che a sostenere quella che impropriamente in talune occasioni considerano la loro squadra del “cuore”.

Non aggiungo altro e le conclusioni le lascio a ciascuno di Voi!!!!!!

Fernando Zanetto