Fonte: Francesco Cocchiglia per IL MATTINO DI PADOVA


È da più di due mesi che non osserva all’Euganeo una partita dei biancoscudati. Troppi impegni, troppi giocatori da guardare in altri campi, troppe partite e squadre da scrutare in cerca dei colpi del futuro. Ma domenica Fabrizio De Poli ci sarà, perché Padova-Cittadella è la sua partita. E la vivrà sempre con uno spirito particolare, lui che ha giocato con la maglia biancoscudata dopo aver mosso i primi passi da calciatore a Cittadella, prima di tornare da dirigente sotto le Mura negli anni d’oro a cavallo del nuovo millennio e di rivestirsi, dalla stagione scorsa, dei panni del Padova da dietro la scrivania. «Questo derby mi riporta indietro, mi fa rivivere tanti ricordi», ammette il direttore sportivo biancoscudato. «Cittadella è stata la mia prima casa, quando avevo dieci anni cominciai a giocare a calcio proprio sotto le Mura, e vi rimasi fino a che non presi la via del professionismo andando a Treviso, per poi tornare come dirigente. A occhio e croce, quasi 15 anni della mia vita li ho passati in granata».

Come mai andò via dopo la promozione? «Lasciare Cittadella è stato doloroso, ma decisi di farlo pensando che per me ci sarebbe stato un percorso diverso. Arrivò la chiamata del Genoa, e anche se entrambe le squadre erano in Serie B decisi di accettarla iniziando una nuova avventura: è stata una mia volontà e per questo non ho mai avuto nulla da rimproverare al Cittadella». E proprio quando lasciò i granata, nacque il progetto della fusione, fino a che Piergiorgio Gabrielli e Alberto Mazzocco, con le tifoserie in rivolta, non decisero di lasciar perdere. «E sono convinto che abbiano fatto bene. Non continuare la fusione è stata la scelta giusta, ogni società ha dimostrato negli anni di avere uno spirito e una forza di appartenenza che è giusto siano rimasti a sé stanti. Una storia e una tradizione che va vissuta alla loro maniera, ognuno per i fatti propri». Proprio da dirigente, però, ha vissuto i suoi primi derby: come li ricorda? «Ne giocammo diversi, ma uno mi rimase sulla pelle. In una partita di Coppa Italia, era l’1 settembre del 1999, venimmo all’Euganeo e perdemmo 4-0. Fu una bella botta, finita la partita ero incazzato nero con la mia squadra».

«Ma col senno di poi quella sconfitta ci fece fare un bagno di umiltà, e forse proprio da quella partita, conoscendo la squadra e i giocatori che avevamo, cambiammo atteggiamento arrivando, a fine anno, alla prima, storica promozione in Serie B. Al di là di quell’episodio in quegli anni Padova e Cittadella se la giocavano sempre alla pari». In vista di domenica, cosa le fa sperare in un epilogo diverso da quello che fu all’andata? «Il Cittadella arriverà all’Euganeo da primo in classifica, e sono convinto che cercherà di fare il possibile per vincere questa gara. Ma il Padova adesso ha una quadratura diversa, una struttura importante, una compattezza di gruppo maggiore. Sostanzialmente siamo quelli di inizio campionato, dell’undici titolare sono cambiati solo due giocatori, ma qualcosa è cambiato nello spirito». Rispetto all’andata, però, avrete un Neto Pereira in più. Potrà fare la differenza? «È un giocatore importante, ed è sempre meglio averlo a disposizione. Il Cittadella, però, ha la rosa migliore del girone, perché hanno giocatori di grande qualità e ne hanno tanti. Quindi, se vogliamo provare a batterlo, dobbiamo provare a blindarli e cercare di fare la partita. Solo così potremo avere qualche chance contro una squadra davvero forte».