Niko Kirwan“Non è un momento facilissimo, siamo stati sfortunati con la Pro Sesto, se vai 3-1 la partita finisce, eravamo carichi a Salò, ma il gol a freddo su errore nostro ci ha condizionati. Sappiamo il nostro percorso, siamo fiduciosi, bisogna guardare avanti, conosciamo il nostro cammino, non sono preoccupato. Intervista della BBC? Dopo la convocazione con la nazionale volevano parlarmi. Dopo Salò? Abbiamo parlato, siamo motivati ed uniti, bisogna allenarsi bene sul campo, lavorare duro e dare tutto in partita. Magari le prime partite gli episodi ci sono andati bene, ora magari gli episodi ci dicono male. Abbiamo dei leader in campo e fuori, non ci incupiamo, siamo determinati. I leader ci son sempre stati fin dai  primi giorni di ritiro, i giocatori che magari son qui da più tempo Carlo (Pelagatti, ndr), Ronnie (Ronaldo, ndr), Vale (Valentini, ndr), Sini (Andelkovic, ndr), ci son tanti leader in questa squadra… loro ci fanno sentire il loro appoggio, il loro carisma, ovviamente quando devi fare un risultato positivo conti molto su questo, il gruppo è coeso. Analogie o differenze con Reggio Emilia? Io prima di Padova ho fatto Reggina e Reggiana, so dietro il peso dei risultati, di soddisfare la tifoseria. Credo che a Padova la voglia di fare risultato sia ancora più grande da parte dei tifosi, cantano dal primo all’ultimo minuto, c’è voglia di ritornare alle categorie importanti, questo di più che alla Reggiana, ma non deve essere vista come una cosa negativa, il risultato a tutti i costi ci deve spingere tutti uniti per andare nella stessa direzione. Non è una partita andata un po’ storta a metterci in apprensione, il gol di Nicastro a Salò era regolare, quindi già fossimo andati pari la partita sarebbe cambiata. Bisogna voltare pagina in fretta, il campionato è lungo, la mia filosofia è di dare tutto in campo, poi dopo a fine partita le cose sbagliate si rimettono a posto. La maglia della Nazionale? E’ stata un’emozione unica, è sempre stato un mio obiettivo, sono qui lontano dalla mia famiglia, nonostante io sia qui con la mia ragazza, una parte di essa è dall’altra parte del mondo. Era un obbiettivo che ho visto conquistare. Son stati 10 giorni fantastici, ci sono nuovi obiettivi ora, ma la Nazionale è una finestra a se, dentro di me c’è una consapevolezza diversa ed un’emozione unica. Cosa posso imparare da mio padre? Lui è arrivato all’apice del rugby, era uno dei giocatori più forti, mentalmente è sempre stato preparato, gli invidio la forza con cui riesce a staccare lo sport dalla vita, quando sei un professionista tendi a vedere come giochi in campo e rifletterlo sulla vita al di fuori. Gli parlo sempre questo aspetto del gestire le emozioni in campo, di non far diventare il Niko sportivo il Niko nella vita normale, sono due cose diverse, bisogna resettare e pensare sempre positivo. In questo lui è veramente il migliore, è quello che cerco di fare io tutto i giorni, avere mentalità propositiva, e non aver paura. L’Albionleffe? E’ una grande squadra, l’abbiamo studiata e fatto due bei allenamenti, stiamo studiando dove possiamo colpirli, l’obiettivo nostro è di puntare su di noi e concentrarci su di noi. Perché non ho fatto il rugbista? Mi son trasferito in Italia quando avevo 4-5 anni, tutti i miei amici giocavano a calcio e ho preso sempre il pallone rotondo in mano, mio padre non mi ha mai influenzato, da li non ho mai smesso. Io ho vissuto in Giappone, ho fatto li l’asilo, il calcio l’ho praticato fino ai 16 anni qui in Italia, poi quando mi son trasferito in Nuova Zelanda l’ho praticato al college. La convocazione? Ero a casa a Treviso con mia madre e mia sorella, ho letto la mail ed ero contentissimo. Ero già andato in nazionale tre anni e mezzo prima, ma non era andata benissimo, visto che ero infortunato. Nella settimana prima mi son preparato al meglio, anche grazie alle tre partite con il Padova in una settimana. La prima partita con Curacao son partito titolare, la seconda con il Bahrein invece son partito dalla panchina. Quando sono entrato siam passati al 3-5-2, volevamo vincere, dobbiamo farlo per far crescere il calcio in Nuova Zelanda. Quando sono entrato il mister mi ha detto “vai e risolvila tu”, e questo mi ha dato grande carica. Poi il calcio è anche posizionamento e fortuna. Quel giorno è andata bene e la palla è entrata. Il post partita è stato bellissimo, Wood mi abbracciava e metteva la musica, due partite di fila gli All Whites non le avevano mai vinte fuori casa, questo fa capire come si sta sviluppando li. L’Haka? Non la facciamo, è una cosa del rugby. Quando siamo in ritiro c’è forte appartenenza, questa cultura Maori ci accompagna. L’Haka non è uno scherzo, non è una danza, è una cosa molto seria per noi, mi son sempre rifiutato di farla, va fatta con rispetto, è un rito molto importante e va fatta al 100%. Me l’ha insegnata mio padre, sento un legame con la mia terra e la mia gente. Per tanti italiani la Nuova Zelanda è una cosa talmente lontana e sconosciuta da essere incuriosita dall’Haka, ma va spiegata prima. Per i neozelandesi è un rito di guerra, quando arrivavano i coloni, i maori poggiavano la felce e facevano questa danza. Se i coloni raccoglievano la felce significava “pace”, altrimenti era “guerra”. Veniva usata per intimorire le persone ed il collegamento con gli antenati, una cosa molto significativa e spirituale. Mio padre? Non lo vedo da due anni per colpa del Covid, stare lontano da lui e mio fratello non è facile, mi conosce benissimo e sa cosa dirmi. Crede molto nel lavoro, anchq quando le cose non vanno bene, mi ha insegnato tanto. Un aneddoto? Mi ricordo che quando ero piccolo, ero basso, non riuscivo a crescere; mio padre mi diceva di fare palestra, io invece stupidamente ero convinto che la palestra bloccasse la crescita… questa cosa mi fa sempre molto ridere adesso. Altre passioni? In Nuova Zelanda andavo a surfare, mi piaceva molto, era una cosa di famiglia, andavi in acqua ed eri fuori dal mondo per due-tre ore, rimanevi nell’oceano a guardare la montagne neozelandesi, è una cosa che mi manca, ma quando torno a casa qui è estate e li inverno, quindi sono anni che non lo posso fare. Il rapporto con mia madre? E’ italiana, ti da tutto, ti vizia, è una mamma fantastica, vive in Nuova Zelanda, ma viene in Italia più spesso e può rimanere qui tre mesi in estate, la vedo di più che mio padre ovviamente, sono orgoglioso di essere suo figlio. Il Padova? L’obiettivo è arrivare più in alto possibile, il nostro obbiettivo è forte, sappiamo il nostro percorso qual è, bisogna avere fiducia nei nostri mezzi, voglio riportare il Padova”.