Il Calcio Padova si unisce al lutto della famiglia Barbiero per la scomparsa di Valeriano, ex terzino con 111 presenze in maglia biancoscudata.

Valeriano Barbiero è nato a Padova il 6 novembre 1942 e debuttò in maglia biancoscudata il 16 giugno 1963 (Brescia-Padova 0-1). Destino volle che la sua ultima apparizione con la maglia della sua città fu un’altro Brescia-Padova 0-4 datato 22 giugno 1969.

Cominciò a giocare nella formazione della parrocchia di Brusegana: durante la finale di un torneo disputato ad Abano Terme venne notato da Mario Alfonsi che assieme ad altri ragazzi lo mandò a fare un provino per il Padova. Al primo tentativo l’elevato numero di ragazzi chiamati al provino non permise a Barbiero nemmeno di giocare. Al secondo tentativo, un mese dopo, riuscì invece ad entrare nel vivaio del Padova. Dopo il debutto in prima squadra, approdò in Serie A con il Cagliari, ma a seguito di un infortunio tornò all’Ombra del Santo. Fece parte della formazione che arrivò in finale di Coppa Italia persa poi contro il Milan (in seguito il racconto di quella gara). Giocò in totale per tredici anni di cui uno in Serie A, dieci in Serie B e due in Serie C. In Serie B disputò 226 gare, di cui 111 con il Padova, 82 con la Reggiana e 33 con l’Alessandria.

CARRIERA IN BIANCOSCUDATO

Stagione Serie Presenze Gol Presenze

C.Italia

Gol

C. Italia

1962/63 B 2 0 1 0
1963/64 B 22 0
1965/66 B 14 0
1966/67 B 9 0 3 0
1967/68 B 39 0 1 0
1968/69 B 25 0 3 0

Amarcord fonte: “Lunedì Amarcord” Padova Sport

1966-1967: il piccolo Padova di Humberto Rosa sfiora il trionfo in Coppa Italia

14 giugno 1967. Stadio Olimpico di Roma. E’ in programma la finale di Coppa Italia. Pronto a scendere sul terreno di gioco c’è il Milan di Arturo “Sandokan” Silvestri, una squadra che poteva annoverare tra le sue fila campioni del calibro di Schnellinger, Trapattoni, Rivera, Lodetti e Amarildo, oltre agli assenti Rosato e Sormani, solo per citarne alcuni. L’avversario? Una compagine di Serie B, sulla carta tecnicamente lontana anni luce dai rossoneri, che si era però rivelata la grande sorpresa della competizione, avendo conquistato la finale dopo aver superato l’agguerrita concorrenza di squadre ben più attrezzate come Napoli ed Inter. E’ il piccolo grande Padova dell’ex panzer Humberto Rosa, che quattro giorni più tardi concluderà il campionato cadetto con un mediocre sesto posto finale, a più cinque punti dalla zona retrocessione ed a meno dodici dalla seconda posizione, l’ultima valida per la promozione in Serie A, conquistata da Sampdoria e Varese. Ora però c’è la possibilità di entrare nella storia del calcio italiano, nella speranza di replicare al successo del Napoli 1961-1962, prima (e fino ad oggi anche ultima) compagine di Serie B ad essersi aggiudicata la coccarda tricolore. Ci aveva provato anche il Catanzaro, la stagione precedente, ma nulla aveva potuto in finale contro la Fiorentina di Hamrin e De Sisti.

La storia biancoscudata nella Coppa Italia edizione 1966-1967 inizia il 4 settembre 1966. Avversario del primo turno è il Venezia, all’epoca militante in massima serie. Sembra già il capolinea per i biancoscudati. Sembra, appunto. La squadra che scende in campo all’Appiani per il primo impegno ufficiale della stagione è ricca di volti nuovi: da Gatti a Morelli, da Vigni a Fraschini, che vanno ad aggiungersi alla già affiatata ossatura formata dai vari Barbolini, Cervato, Sereni e Bigon, giovane promessa del calcio padovano. Ed è proprio l’enfant prodige biancoscudato (che a fine stagione risulterà capocannoniere della squadra con un totale di tredici marcature e verrà acquistato dal Napoli) ad aprire le marcature al 56′, facendo passare in vantaggio i suoi nonostante i pronostici della vigilia. Sfortunatamente però, ad un quarto d’ora dal termine, arriva puntuale il pareggio dei lagunari, firmato Marcello Neri, a fissare il punteggio sull’1-1, risultato che si protrarrà sino al termine dei 90′ regolamentari. Si va dunque ai supplementari, che vedranno il Padova conquistare il passaggio del turno grazie ad un rigore trasformato dal neoarrivato Fraschini al 112′.

Avversario nel secondo turno, in programma tre mesi più tardi, il Palermo, squadra di Serie B. Teatro della sfida, di nuovo l’Appiani. In campionato, due settimane prima, alla Favorita, gli uomini di Rosa erano stati sconfitti dai rosanero per 2-0. Ma ora si gioca nella fossa dei leoni, è tutta un’altra storia, ed i siciliani lo capiscono ben presto concludendo la prima frazione in doppio svantaggio a causa della doppietta di Italo Carminati. Nel secondo tempo, però, il Padova si inceppa e subisce la rimonta rosanero in virtù della fulminea doppietta di Bercellino, che pareggia i conti tra il 71′ ed il 73′. E così, anche la seconda gara di Coppa Italia sembra dunque destinata a protrarsi ai tempi supplementari quando, a due minuti dal termine, Barbolini trova l’insperata rete del 3-2 facendo esplodere di gioia i tifosi presenti all’Appiani.

Dodici giorni più tardi, è già tempo di ottavi di finale, sempre all’Appiani, stavolta contro un Varese lanciatissimo verso la promozione in Serie A. Un’altra gara impegnativa per gli uomini di Rosa, reduci da un pesante 3-0 subìto tre giorni prima in quel di Reggio Calabria. Fortunatamente però, nell’occasione, Bruno Arcari, tecnico dei lombardi, sceglie di applicare un ampio turnover, facendo accomodare in panchina gran parte dei titolari, tra i quali spicca innanzitutto un giovane astro nascente del calcio italiano: il diciottenne Pietruzzo Anastasi. Risultato? Facile successo biancoscudato per 3-0. Le reti, tutte nella prima metà del primo tempo: a sbloccare le marcature in avvio di gara ci pensa Novelli, a mettere in ghiaccio la partita Bigon, autore di una doppietta tra il 14′ ed il 22′.

Il sogno può continuare per i biancoscudati, che ai quarti di finale, il 4 aprile, se la dovranno vedere con l’attrezzatissimo Napoli di Altafini e Sivori (che però non scenderà in campo contro il Padova), allenato dal petisso Pesaola. All’Appiani la gara si rivela più equilibrata del previsto ed primo tempo si conclude sullo 0-0. Al 6′ della ripresa, ecco poi il colpo di scena: Padova in vantaggio con Morelli. I partenopei però non ci stanno e spingono sull’acceleratore, trovando il pari un quarto d’ora più tardi con Altafini. E’ ancora pareggio. E’ ancora extra time. Ed è ancora lieto fine: all’ultimo respiro, al 119′, Quintavalle trova il gol del 2-1. Il Padova è in semifinale, tra le grandi del calcio italiano.

Avversario di turno, il 7 giugno all’Appiani, è la leggendaria Inter di Helenio Herrera, capace di conquistare due Coppe dei Campioni consecutive nel ’64 e nel ’65, ma ancora letteralmente traumatizzata per aver perso, nel giro di una settimana, campionato (a causa della celebre “papera” di Benito Sarti a Mantova che consegnò lo scudetto nelle mani della Juventus) e Coppa dei Campioni (in finale contro il Celtic). E’ la squadra dei campioni. E’ la squadra di Burgnich e Facchetti, di Corso e Mazzola, di Jair e Suarez. Insomma, è Davide contro Golia. Ed i nerazzurri certo non desiderano concludere la stagione a bocca asciutta. Ma Herrera commette un errore: sottovaluta il Padova, spedendo in campo molte seconde linee. Ne nascerà una partita storica: dopo una prima mezz’ora di studio, il match si infiamma, accendendo l’entusiasmo sugli spalti, con i biancoscudati che passano in doppio vantaggio grazie alle reti di Carminati (al 29′) e Morelli (al 36′), per poi subire, nel giro di quattro minuti a cavallo tra il 39′ ed il 43′, la rimonta nerazzurra griffata Suarez e Mazzola, le punte di diamante della squadra ospite. Al termine dei primi quarantacinque minuti di gioco, dunque, l’inerzia della gara è tutta dalla parte della banda-Herrera. Per il Padova si prospetta un secondo tempo di fuoco. Ma per la quarta volta dopo i precedenti con Venezia, Palermo e Napoli, Bigon e compagni riescono a reagire alla rimonta avversaria, ristabilendo il vantaggio al 58′ con il bomber di coppa Italo Carminati, alla sua quarta marcatura nella competizione. Nonostante l’assedio finale dei nerazzurri alla diligenza biancoscudata, il punteggio rimane alla fine invariato: 3-2 per i padroni di casa e qualificazione ottenuta per la finale di Roma, in programma sette giorni più tardi.

L’ultimo scoglio (o meglio, l’ultima montagna) che separa il Padova dalla vittoria finale è il Milan, uscito vincitore ai supplementari dall’altra semifinale contro i neo campioni d’Italia della Juventus. Ed eccoci dunque ritornati all’incipit del nostro racconto.

Nel tunnel d’ingresso in campo i biancoscudati si ritrovano fianco a fianco con i campioni rossoneri. Li guardano con reverenza, forse con un po’ di timore, ma certamente determinati a dare il cento per cento in campo. Sugli spalti dello stadio Olimpico, però, non ci sono bandiere bianche e rosse a supportare gli uomini di Rosa (in città il tifo organizzato nascerà solamente una dozzina di anni più tardi). E qui inizia il racconto del tecnico argentino, tratto da “Biancoscudo”: “Non è venuto nessuno da Padova. La Coppa Italia è stata snobbata sia dalla città che dalla dirigenza. Il copione della partita era già scritto. Poco prima della finale viene da me Scagnellato (all’epoca segretario della società) e mi fa: mettiti il cuore in pace che questa partita non la vinci. Deve vincere il Milan. Sono arrivati dalla Federazione, c’era già chi domandava dove dovessero mettersi per alzare la coppa.” Ma Rosa non vuole credere alle parole del buon vecchio Lello. Questo l’undici scelto dal mister per la finale: Pontel, Cervato, Barbiero, Frezza, Barbolini, Sereni, Carminati, Bigon, Morelli, Fraschini, Novelli. Il Milan risponde con: Belli, Anquilletti, Schnellinger, Maddè, Trapattoni, Baveni, Mora, Rivera, Amarildo, Lodetti, Fortunato.

La gara si rivela subito tirata. Troppa la paura di perdere da parte dei biancoscudati, che faticano ad arrivare nei pressi della porta avversaria, ma nel contempo riescono a proteggere a dovere i pali difesi da Pontel, costringendo i rossoneri sullo 0-0 al termine dei primi 45′. Ma Humberto Rosa si rammarica ancora con malizia pensando alle parole di Scagnellato: “All’inizio della finale c’era un rigore grande quanto una casa su Bigon. Nessuno però si è stupito che non lo avessero fischiato”. In apertura di secondo tempo accade perciò l’inevitabile: vantaggio del Milan con Amarildo, abile a trasformare in gol un traversone rasoterra dalla sinistra dopo essere sgusciato sul filo del fuorigioco tra le maglie della difesa biancoscudata. Inutili le proteste della retroguardia veneta nei confronti del guardalinee: il gol è valido. La Coppa prende dunque per la prima volta la via di Milano, sponda rossonera. Si infrangono così in finale, all’ultimo capitolo, i sogni di gloria del Padova di Humberto Rosa. Una squadra capace di lottare titanicamente contro il gotha del calcio italiano per rincorrere un sogno chiamato Coppa Italia.

Certo, sull’albo d’oro della competizione rimarrà impresso il nome dei rossoneri, ma, come diceva il compianto Giorgio Faletti, l’importante non è quello che trovi alla fine di una corsa, ma quello che provi mentre corri. Grazie, piccolo grande Padova 1966-1967.