Tratto dal Magazine Biancoscudati Padova distribuito allo Stadio.

DE POLI e PARLATO, diesse e mister, anime biancoscudate.

 

Nome: Fabrizio
Cognome: DE POLI
 

Si ricorda la sua prima partita con il Padova?

Sinceramente no (fu Adriese – Padova di Coppa Italia il 23 agosto 1980, ndr). Giocavamo in C2, un’ottima squadra. Ero arrivato dalla Spal dove avevo già collezio­nato un po’ di presenze tra i profes­sionisti. Quello che non mi dimenti­cherò mai è l’uscita dal tunnel dello stadio Appiani, mi metteva i brividi ogni volta.

Appiani/Euganeo, per il tifosi non c’è sfida. Ma è poi vero che, nell’ar­co di una stagione, uno stadio più caldo incide anche sul rendimento della squadra?

Si, e sempre in maniera positiva. Almeno così era per la nostra squa­dra che era fatta di giocatori con un certo spessore, nessuno subiva la pressione di quello stadio. La com­ponente emozionale del pubblico ti trascina, fa crescere il rendimento della squadra.

Quale giocatore di quel Padova in­gaggerebbe adesso?

Ho giocato in un Padova veramente forte, ci sarebbe più di un giocatore…. da comprare. Dico “Cina” Pezzato perché era un giocatore completo. In campo mostrava tecnica, veloci­tà, rapidità, era bravo ad inserirsi e colpire di testa. Fuori dal campo era un esempio di gestione della pro­fessione, ho imparato molto da lui.

Come ha convinto Parlato ad alle­nare i Biancoscudati?

Convincerlo? Non c’è stato bisogno di convincerlo. Avevo un altro paio di nomi sul taccuino ma lui aveva tutto quello che cercavamo in ter­mini di esperienza, risultati otte­nuti e conoscenza della categoria, per iniziare questa avventura con i Biancoscudati. Il Calcio Italiano attraversa un pe­riodo molto difficile, campionati esteri considerati minori stanno di­ventando più competitivi del nostro.

E’ una crisi solo economica o anche di idee?
E’ una crisi di valori. Siamo rima­sti ancorati all’Italia di qualche de­cennio fa, quando eravamo al cen­tro dell’universo calcistico. Gli altri paesi sono andati avanti. Nazioni come Germania, Belgio e Inghilter­ra si sono date nuove regole e han­no avuto costanza nel seguirle. Del calcio italiano di adesso cambierei per prima cosa i criteri con cui si rilasciano i patentini degli allenatori dei settori giovanili, poi anche quelli dei tecnici delle prime squadre.

A proposito di giovani. Lei ci ha spesso lavorato con ottimi risultati. Qui a Padova ne sono passati mol­ti (Donati, Bonaventura, Perin, El Shaarawy, Darmian) e non sempre con risultati apprezzabili. Qual è il segreto per far crescere bene i gio­vani in una piazza come Padova, da sempre poco paziente?

Alcuni giovani qui hanno fatto bene, altri meno. Ma anche giocatori meno giovani non si sono espressi come in altre situazioni, vedi i vari Mba­kogu, Vantaggiato, Cutolo, Cacia, Babacar… Non è facile, sono con­vinto che nel nostro mestiere il più bravo è quello che sbaglia di meno. Per far crescere i giovani è neces­sario inserirli in un contesto e in un gruppo consolidati, dove ci siano valori e regole condivisi e rispettati da tutti. Così facendo si aiutano i nuovi ad ambientarsi ed esprimere al meglio delle loro qualità.

 


 

Nome: Carmine
Cognome: PARLATO
 

Ti ricordi la tua prima partita con il Padova?

Certo che si, non potrò mai dimenticarla. Udinese – Pado­va ( 9 dicembre 1990, campionato di serie B, ndr), andiamo in svantaggio con un gol di Balbo, ma Albertini pa­reggia. Sensini riporta in vantaggio l’Udinese e a cinque minuti dalla fine faccio gol di testa e pareggiamo 2-2. Ripeto, indimenticabile.

Quale giocatore del tuo Padova vorre­sti allenare adesso?

Quella era una squadra fortissima, li vorrei avere tutti! Albertini faceva can­tare la palla, ma c’erano altri giocatori molto forti tecnicamente come Gal­derisi, Longhi, Nunziata o fisicamente fortissimi come Di Livio, Benarrivo, Za­noncelli e Pippo Maniero.

Cos’hai pensato quando De Poli ti ha chiamato per portarti sulla panchina dei Biancoscudati?

Il telefono ha squillato, ho risposto e ascoltato tutto quello che mi diceva. Ci siamo dati appuntamento e ho messo giù. Da quel momento ho cominciato a pensare a quello che ci saremo detti e a come si poteva impostare il lavoro.

E’ stato un bel cambiamento anche per la tua famiglia, che abita ad Albi­gnasego. Come stanno vivendo que­sta tua avventura nella vostra città?

Con il giusto self control, si cerca di te­nere fuori le questioni legate al lavoro. Anche se poi nella pratica non sempre è facile tornare a casa e staccare del tutto la spina.

Sei un esperto di questo campionato, dicci tre cose che servono per vincere la serie D.

Continuità di risultati, esperienza, fame.

L’inizio della stagione è stato ottimo dal punto di vista dei risultati. Ora il dif­ficile è continuare così, anche perché in serie D il secondo è il primo degli sconfitti.

Il segreto in realtà non è un segre­to. Bisogna ragionare gara per gara, settimana dopo settimana lavorando sempre al massimo, ma soprattut­to curando con costanza ogni mini­mo particolare. In un torneo con tanti giovani è essenziale lavorare giorno per giorno sui propri calciatori e mi­gliorarsi sempre. Allo stesso tempo, è fondamentale preparare le partite in­dividuando e cercando di sfruttare le debolezze dei giocatori delle squadre avversarie.

di Massimo Candotti