Calcio Padova Tv alla scoperta di GIAMPIERO PINZI:

“Sono nato a Centocelle, una borgata molto affollata, un’infanzia bellissima, Roma l’ho vissuta li, via dei Castani, facendo le cosi dette vasche, purtroppo a mia madre ho fatto passare le pene dell’inferno, da ragazzo ero un disastro.

Primo ricordo legato al calcio? A sette anni ero curioso di vedere una partita, mi sono sfregiato la faccia con 50 punti sui gancetti che tengono una rete, questo è stato il regalino che ho fatto a mia mamma, forse però era un segnale che dovevo giocare a calcio.

La prima partita vista? Ancora c’era il vecchio Olimpico, senza copertura, dovevi andare 5 ore prima per prendere posto, quando arrivava la partita o avevi preso un’insolazione o eri morto di freddo talmente lunga era l’attesa, atmosfera diversa. Se non sbaglio era un Lazio-Messina, non ho mai nascosto la mia fede laziale, siamo persone normali, abbiamo gioito, ci siamo disperati, ma non l’ho mai nascosta la mia fede anche se in passato questa cosa mi ha dato qualche problema. Ho esordito con la Lazio in Champions a Kiev, in uno stadio stracolmo, ricordo solo fischi, gli ucraini fischiavano sempre, o ero io stordito dall’emozione. Potevo anche fare gol, Mancini mi mise una bella palla davanti alla porta che sbagliai clamorosamente. Mi ricordo che a fine partita le radio romane volevano intervistarmi, mi passarono il telefono ed io risposi come se fosse un amico al telefono “Pronto? Macchè pronto? Stai in diretta sulla principale radio romana!”. Ero molto emozionato. In campionato non sono riuscito ad esordire, era una Lazio incredibile di campioni di livello mondiale, pensare che Stankovic era l’ultima ruota del carro a centrocampo era facile pensare di non poter giocare, ho giocato in Coppa Italia dove abbiamo vinto, ma non la sento mia come vittoria, la sento come tifoso. Quando abbiamo lo scudetto, anzi quando hanno vinto lo scudetto, ero a festeggiare con i tifosi, non ero salito sul pullman, non ho fatto la festa con loro, mi sentivo ancora un tifoso. Quando andavo in trasferta passavo per l’albergo in cerca dei biglietti perché partivo senza biglietti ed Eriksson mi chiedeva che stavo facendo li. Poi capitò che abbiamo vinto 3-0 in trasferta e lui che era molto scaramantico voleva che andassi sempre. Quando Marchegiani mi vide al Circo Massimo con un bandierone in mano voleva che salissi con loro sul pullman scoperto, ma io mi sentivo un tifoso appunto.

Ho avuto la fortuna di approdare in una realtà come Udine, un ambiente familiare, a misura d’uomo, con uomini come Giannichedda, Muzzi, Fiore, Sottil, Iaquinta… abbiamo creato un gruppo bellissimo, era la prima volta che andavo fuori di casa, ero già fidanzato con la mia attuale moglie, siamo rimasti in Friuli a vivere ed ora abbiamo due figli, uno di 14 ed uno di 9 anni, cresciuti li e che si sentono friulani.

Una parola per ogni squadra?

Lazio è “Primo amore”, la passione, tutto quello che un ragazzo può sognare.

Udinese è “L’amante” mi sono innamorato anche del Friuli.

Chievo è “Un amico”, ambiente molto familiare ed equilibrato, un grande Presidente.

Brescia un ambiente esplosivo, ambiente anarchico, veniva da un quasi fallimento, però esperienza molto positiva che mi ha permesso di crescere molto. Giocando tanti anni in Serie A ti rendo conto che si ha una visione un po’ distorta della realtà globale del calcio, le categorie inferiori soffrono molto perché non ci sono più gli imprenditori e i soldi di una volta, ci vogliono le idee.

Di Padova conoscevo Sant’Antonio e lo Stadio. Quando mi è stato detto che il Padova era interessato mi è subito venuta in mente la partita in Nazionale, l’unica che ho fatto, proprio all’Euganeo con l’Italia di Lippi contro l’Islanda, un ricordo indelebile.

Cosa ho scoperto a Padova? Una passione importante, un po’ soffocata perché gli ultimi anni a Padova si è sofferto molto a livello calcistico e qualche cicatrice l’ha lasciata. Per fortuna abbiamo fatto un girone d’andata esaltante, ed essendo una delle piazze più importanti del Nord Italia sta uscendo fuori anche il calore.

Un giocatore che mi ispiravo? Inizialmente Almeyda, un recuperapalloni indomabile, poi ho avuto la fortuna di allenarmi con Simeone, un guerriero. All’Udinese mi sono ispirato a Giannichedda, non molla mai anche nelle difficoltà fisiche. In futuro? Non lo so, di sto passo se continuo a giocare mi ritrovo con mio figlio in squadra… Adesso non mi ispira nessuno, cerco di godermi questi anni.

L’avversario più difficile? Kakà del Milan, la sua forza era lo stop, i primi passi erano devastanti, il suo stop era da insegnare alle scuole calcio, quando eri li vicino e sembrava che lo potessi prendere, cambiava passo e mi mandava ai matti, mi toccava aggrapparmi alla maglia, poi io non esiste che mi sfuggi facilmente, usavo calci e cazzotti, lui giustamente si arrabbiava.

L’episodio di Liverpool? Mi ha reso celebre in Inghilterra un placcaggio ad Anfield Road a Downing. Mi arrivarono moltissime lettere di tifosi inglesi imbufaliti perché per loro era un comportamento molto corretto. Downing partì in contropiede, io esaltato un po’ dallo stadio, un po’ perché era pericoloso, quando gli sono arrivato vicino ha avuto un’accelerata e l’istinto mi ha detto “buttalo giù” con un placcaggio stile rugby, mi son messo a ridere anch’io, era una cosa insolita, per fortuna l’arbitro mi ha solo ammonito. Abbiamo pure vinto li a Liverpool realizzando un’impresa.

Partita più bella della carriera? Ne ho fatte tante di belle, potrebbe essere contro l’Arsenal negli spareggi di Champions League, all’andata il mister mi mise trequartista, giocai contro Song che poi andò al Barcellona, partita intensissima in cui feci anche delle giocate da trequartista vero, e quante botte con il mio dirimpettaio.

Un rimpianto? Ho perso diversi spareggi per entrare nelle Coppe, oltre a quello con l’Arsenal perdemmo contro lo Sporting Braga, eravamo nettamente superiori, abbiamo fallito tante occasioni da gol a ritorno, poi ci fu quel maledetto pallonetto su rigore di Maicosuel.

Hobby? Cambio di anno in anno, ho coltivato peperoncini, ma il mio hobby principale sono gli animali: ho due rettili, un’iguana, un serpente, un cane. Col fatto che sono spesso fuori da casa, ma quando mi stabilirò in una città la mia casa potrebbe diventare un piccolo zoo.

Il futuro? Come base penso che rimarrò ad Udine, li ho la mia famiglia, il mio ambiente ideale. Poi nel calcio non si possono mai fare programmi: sono andato via da Udine all’improvviso, sono andato via da Brescia all’improvviso, penso e spero di rimanere nel mondo del calcio.

Cos’è per me la felicità? Vedere la mia famiglia e i miei figli contenti, voglio rendere il loro futuro più agevole, se riuscirò in questo intento vuol dire che nella vita avrò fatto le cose giuste e sarò l’uomo più felice del mondo”