GIACOMO BINDI intervistato da CALCIO PADOVA TV:

Il portiere è il ruolo più specifico del gioco del calcio, per certi versi il più solitario, di sicuro il più difficile. Per questo motivo spesso i portieri sono personaggi un po’ border line, o pagliacci o asceti, o freddi calcolatori o pazzi. Il Padova invece tra i pali ha un esploratore, un viaggiatore curioso. Il nostro Marco Polo si chiama Giacomo Bindi.

Giacomo, com’è iniziata la tua avventura tra i pali?

“Ero in una scuola calcio del mio paese, vicino a Siena. Non c’era nessuno che voleva giocare in porta e il mister all’ultimo allenamento prima della partita scelse me. Ero già abbastanza più alto degli altri e giocavo centrocampista. Ricordo lo scompiglio quando, a casa, dissi ai miei genitori che mi serviva l’attrezzatura da portiere. Il giorno dopo mi presentai al campo con dei pantaloni della tuta super imbottiti e dei guanti da sci”.

Che ricordi hai di quell’età?

“All’inizio il ruolo non mi piaceva molto, troppo statico, poi qualche soddisfazione è arrivata e mi ha spronato a continuare. C’era grandissima confusione in campo, ma mi ricordo che c’era anche tanta aggregazione. Credo che, fatto con le giuste motivazioni e con gli insegnanti giusti, questo sport può essere veramente propedeutico per la vita sociale dei bambini”.

Chi era il tuo idolo?

“Quando ero piccolo mi piacevano i portieri spettacolari come Frey, ora il metro è cambiato decisamente. Oggi considero di più quelli che sono stati anche uomini nella vita, come Buffon che ha dimostrato sostanza nel modo di comportarsi, di parlare. Mi ha colpito molto la sua scelta di rimanere alla Juve anche in serie B”.

Finora non ti sei mai fermato molto in una piazza, come te lo spieghi?
“Ho cambiato veramente molte squadre e più di un anno e mezzo/due non mi sono mai fermato. Spesso mi chiedo il perché di questa scelta, comparandola magari con quella di altri portieri che passano moltissime stagioni con la stessa maglia. Credo che sia dovuto alla ricerca continua di stimoli e di un contesto di città che mi potesse dare di più. Per fare un esempio, una volta sono andato dal direttore sportivo di una società con cui avevo ancora un anno di contratto, chiedendo di andare via perché non mi trovavo bene. La stagione precedente era stata positiva e lui mi chiese il perchè di quella decisione. Risposi che la città non mi dava stimoli. Per rendere bene ho bisogno di un contesto di città, di socialità e di persone, posti da scoprire”.

In questo senso, come ti stai trovando all’ombra del Santo?

“Sapere che da Padova si può partire per raggiungere molti bellissimi posti e che anche stando in città posso visitare le sue stupende chiese o la cappella degli Scrovegni, mi rende felice e sono più produttivo. Trovare poi due presidenti che sono imprenditori proprio a Padova mi fa piacere, ho scoperto due persone vicine alla città che non hanno interesse di arricchirsi o un tornaconto personale. Ho sentito la possibilità di creare un progetto che andasse oltre il singolo anno”.

Quando togli i guanti cosa ti piace fare?

“Ho tante passioni, la prima è viaggiare. A casa io e la mia ragazza abbiamo una mappa gigantesca dove segniamo tutti i viaggi che facciamo e soprattutto le bellezze e gli ambiti culturali che abbiamo incontrato. E’ bello ripercorrere quei viaggi e ricordare quello che abbiamo vissuto assieme. Ah, mi mancano due esami per finire Psico Economia”.

Psico-Economia????

“Tratta molti aspetti legati ai gruppi di lavoro e alla gestione delle risorse umane. Parlo da alunno fuori corso, è un progetto che sto coltivando piano piano, un percorso mio. Una battaglia che volevo combattere, riuscire a vedere se potevo conseguire una laurea nonostante gli impegni calcistici. Sono ansioso di finire e di poter conseguire il titolo di dottore, sfatando questo tabu”.