Fonte: Paolo Ghisoni per La Giovane Italia


Dopo lo sfogo emotivo di Federico Giraudo, ecco la voce dall’altra sponda della mancata sfida. Quella di Daniel Cappelletti, difensore del calcio Padova, anch’egli vittima (e non per la prima volta in stagione) di un giocattolo rotto ancora prima di averci giocato.  Una sola precisazione. Anche Daniel fa parte di quella schiera di ragazzi passati dal 2011 nel nostro progetto. Ora nel 2018 non giochera’ in Champions ma ha da poco una laurea in tasca. Come vedete fare calcio professionistico e studiare e’ piu’ che fattibile. Basta volerlo. E si trova anche il tempo per passioni come la cucina. A Breve Daniel “cucinera’” pe La Giovane Italia qualcosa di speciale.

“Se già credevo di avere toccato il fondo quando ero stato costretto, insieme ai miei compagni, a presentarmi a Modena, all’esterno di uno stadio Braglia chiuso con catene e lucchetti a causa del mancato pagamento dell’affitto da parte della società dei canarini, mi sbagliavo di grosso.

Mi sono da poco laureato in Mediazione Linguistica e culturale all’Università Statale di Milano e, per la mia tesi di laurea, non potevo fare a meno di cercare un collegamento tra quello che è stato il mio percorso di studi e quella che è da sempre la mia più grande passione, e fortunatamente da qualche tempo anche la mia professione, ovvero il gioco del calcio.

Il mio lavoro, dal titolo “Football inglese e calcio italiano. Storia e cultura di due concezioni diverse dello stesso sport” sosteneva come il gioco del calcio sia in qualche modo uno specchio della società, ed è in grado di mostrare per questo caratteristiche e peculiarità differenti in tutti i paesi.

E se il calcio è lo specchio della società, è senza dubbio grazie alla sua capacità di arrivare in maniera diretta e semplice a chiunque, riuscendo nella maggior parte dei casi a distogliere la mente dalle fatiche e dalla routine di tutti i giorni, trasportando il tifoso e il giocatore in 90 minuti di passione.
Se tutto questo è vero,  i fatti di Modena, (squadra fallita dopo più di cento anni di storia, riuscendo addirittura ad essere radiata dal campionato in corso poiché rimasta chiusa fuori dal suo stadio a causa dei debiti maturati col comune) ci mettono di fronte ad una disfatta per tutta la società.

Ci ritroviamo inoltre con un campionato falsato dalla partenza, con partite dapprima disputate e poi non giocate, con vittorie assegnate a tavolino e punti successivamente tolti. Ma la triste fotografia  è rappresentata dalla mia squadra e da quella del Modena chiuse fuori dai cancelli dello stadio bloccati da una grande catena e un lucchetto. Con le fur squadre costrette a fare l’appello come di consueto prima di ogni gara.  Come se in quei 45 minuti potesse arrivare qualcuno dal comune con le chiavi e aprire lo stadio. Ma chi avrebbe poi segnato il campo e messo le porte al loro posto? Quanto siamo bravi a crearci i problemi da soli noi italiani…
Se mai avrei pensato che un giorno, nella mia carriera, avessi potuto vivere uno scempio del genere, il 13 gennaio 2018, ho avuto la “fortuna” di poter rivivere questa esperienza.

Purtroppo la situazione societaria delle Lane nell’ultimo periodo è decisamente precipitata, con dinamiche del tutto simili a quelle già viste a Modena.

Il paradosso di tutto questo è stato preparare per giorni una partita che fino a un’ora e mezza prima della gara non sapevamo se si sarebbe disputata. Questa volta lo stadio era aperto, il campo era pronto, ma non c’era traccia degli avversari. Da Vicenza il pullman della squadra non partirà mai, bloccato da migliaia di tifosi che si rifiutano di vedere maltrattata la squadra del loro cuore, la squadra della loro città. Ancora una volta volta una grande sconfitta per il calcio, ma una enorme disfatta per la società. Repetita dolent, in questo caso. Fanno male, molto male.
A mente fredda ora penso alla fortuna che avevo io, insieme ai miei compagni di essere sul campo a fare il mio lavoro, perché alla fine è di questo che si parla. Senza dubbio il calcio è per noi giocatori prima di tutto una passione. Ma non dobbiamo dimenticare che se abbiamo la fortuna di farlo diventare il nostro lavoro, allora è proprio grazie ad esso che costruiamo il nostro futuro e poniamo le basi per il resto della nostra vita. Ogni mia azione su quel campo è un piccolo mattoncino su cui si costruirà il mio avvenire. E a me, come i miei compagni, era data la possibilità di farlo. Ai colleghi del Vicenza no. Come non era stata data questa possibilità a coloro che militavano nel Modena qualche mese fa.

Manca poco ad un’altra tornata elettorale. A chiunque arrivera’ pongo la mia domanda. Siamo sicuri che il nostro movimento calcistico si stia muovendo nella direzione giusta?

A ben guardare sembrano molti di più i problemi che la cose che funzionano, soprattutto nelle categorie minori. Ormai sono anni che siamo vittime di regolamenti che cercano di imporre soglie minime sull’età e limiti massimi di calciatori in rosa, il tutto per distribuire dei contributi che tengano a galla decine di società in palese difficoltà economica e che non sono dunque in grado di assicurare un futuro ai loro dipendenti.

Stiamo perseverando nel creare una classe di disoccupati, i quali, una volta che non rientrano più nelle soglie di età contemplate dai regolamenti, si ritrovano catapultati dall’essere delle giovani promesse ad essere dei quasi certi esclusi.
E’ giunto il tempo di cambiare. Credo che piuttosto che dare false speranze a tanti ragazzi, sia meglio lasciare che questi indirizzino il loro futuro in un altro modo e lasciare fare calcio solo ed esclusivamente a chi dimostra di essere in grado di poterselo permettere stando nelle regole.

Non possiamo più permettere che le società falliscano lasciando a piedi un sacco di giovani ragazzi e tesserati e seminando debiti con fornitori che meritano di essere pagati.

Ancora una volta non ne va solo del futuro di una classe lavoratrice, ma di tutta la nostra società. Non stupiamoci poi se non riusciamo a qualificarci ai mondiali di calcio dopo più di sessant’anni.

Quella è l’immagine del fallimento sociale che stiamo vivendo. Non possiamo immaginare un mondiale senza Italia. Non possiamo immaginare un’Italia senza calcio. Ma ci stiamo allontanando troppo dalla retta via ( o avvicinando troppo al burrone del non ritorno).
Repetita non iuvant, dolent.


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