Trascrizione a cura di Stefano Volpe per Mattino di Padova


(…) Cherif Karamoko, all’ultima giornata contro il Livorno, ha esordito in Serie B con la maglia del Padova. L’ha fatto appena due anni dopo essere arrivato in Italia, dalla Guinea, a bordo di un barcone affondato nel Mediterraneo, che ha causato la morte di quasi tutti i profughi a bordo, compreso suo fratello. L’ha fatto appena tre mesi dopo aver giocato la sua prima partita ufficiale, a 19 anni, con una squadra di calcio. Ma questa è solo una parte dell’incredibile storia di Cherif Karamoko. Una storia che il diretto interessato ha raccontato senza mai perdere quel sorriso che lo accompagna da quando ha iniziato ad indossare il biancoscudo.
“Sono nato nel 2000 in Guinea Conakry, nell’Africa Occidentale. Fin da piccolo ho sempre avuto la grande passione del calcio, ma ho sempre giocato solo in strada, nei campetti di terra, assieme agli amici”.

(…) “Durante una battaglia tra etnie un gruppo assalta la mia casa, mio padre esce per difenderci, ma viene ucciso. Anche mio fratello maggiore Mory partecipò alla guerriglia per respingere l’assalto, ma per paura di ritorsioni, pochi giorni dopo, decise di fuggire, scappando in Libia”.

(…) “Nel 2015 mia madre si ammala e muore, mi trasferisco da mia sorella ma non mi trovo bene. Vuole che vada a scuola, io penso solo al calcio, lei parla con mio fratello che nel frattempo aveva trovato lavoro in Libia. (…)”.

“In Libia c’è il caos, dovevamo fermarci spesso e assicurarci che potevamo percorrere senza problemi una determinata strada. Una volta arrivato a Tripoli mi mettono in prigione e chiedono a mio fratello 2.000 dinari (1300 euro) per liberarmi e farmi imbarcare per l’Europa. Sto in galera due mesi, nell’attesa che Mory guadagni i soldi, e una volta liberato impiego qualche settimana per rimettermi in forze, visto che in galera ci facevano mangiare pochissimo”.

Siamo nella primavera del 2017, Cherif e suo fratello salpano per l’Europa. “Il nostro barcone avrebbe potuto ospitare al massimo 60 persone, ma eravamo 143. Ci dissero che in una scatola, in caso di problemi, c’erano i giubbotti di salvataggio. Dopo 5 ore dalla partenza ha iniziato a entrare acqua, il barcone stava affondando e si è creata la calca per accaparrarsi un salvagente. Ce n’erano pochissimi, altro che 143. Mio fratello riuscì a prenderne uno e me lo diede. Non dimenticherò le sue parole: “Tu hai il sogno di diventare un calciatore, devi salvarti”. Da lì mi ricordo solo il risveglio in ospedale in Calabria. Chiesi di mio fratello, mi dissero che era morto”. Fu una delle tante stragi del Mediterraneo. Cherif rimase quattro mesi in Calabria, quindi fu trasferito al centro profughi di Battaglia Terme, dove iniziò a imparare la lingua e andare a scuola: “Ma non smisi mai di allenarmi, anche quando i miei compagni mi dicevano: “perché corri tutto il giorno?”. Volevo essere in forma. A Battaglia organizzarono un torneo tra profughi, fui nominato miglior giocatore e una collaboratrice del centro si mise in contatto con varie squadre per farmi ottenere un provino. Parlai con l’Abano, poi arrivammo fino al Padova. Mi dissero che era molto difficile inserirmi nel vivaio biancoscudato visto che non avevo mai giocato in nessuna squadra. Ma alla fine ottenni un allenamento di prova”.

Era maggio 2018. “Appena arrivato vidi giocare i miei compagni e pensai: “sono troppo forti”. Ma a fine allenamento mister Centurioni mi disse che sarei potuto tornare”. (…)

In tanti prendono a cuore la sua storia, compreso Daniele Boscolo Meneguolo, all’epoca un semplice consigliere, oggi il presidente, oltre a Mister Centurioni. “Per otto mesi non ho potuto giocare, mi sono solo allenato. Ho esordito in Primavera contro il Parma a febbraio, un’emozione enorme”. Ma il bello deve ancora venire: “Quando Centurioni arriva in prima squadra mi porta ad allenarmi con i grandi, mi sembrava incredibile. Dall’emozione non dormo la notte, in campo si vede, il mister mi dice di stare tranquillo. I compagni sono tutti fantastici, mi aiutano sempre”. Finché non arriva anche l’esordio in B: “Quando mi hanno detto che ero convocato sono tornato a casa e ho pianto. Ero anche in Ramadam, ho giocato solo un minuto ma non lo scorderò mai. Il Padova mi ha accolto in maniera meravigliosa, la città è splendida e non ho mai avuto problemi. Mi sento padovano”.