Giacomo Tafuro, preparatore atletico del Calcio Padova intervistato da CALCIO PADOVA TV: “Quando è arrivata la chiamata del Padova e di Mister Pillon avevo richiesto che ci fosse un collaboratore, un’organizzazione ed un centro sportivo di un certo tipo, non era importante la categoria; Padova contemporaneamente rispondeva a questi requisiti, nonostante la posizione in classifica. Con i ragazzi ora abbiamo portato questo modo di lavorare, oggi si parla di altaintensità con la palla, conosco Pillon dal 2002 e lui è stato uno dei primi a fare allenamenti ad alta intesità e lui mi ha dato la possibilità di studiare e monitorare questo metodo. Ora ne parlano ed iniziano a praticarlo tutti, noi ad Ascoli come a Treviso e Chievo abbiamo fatto un po’ scuola sotto questo aspetto, l’intensità di gioco e certi tipi di esercitazioni con la palla ed una tecnologia particolare che noi utilizzavamo in “modo nascosto”.
Io giocavo a pallavolo, ero un centrale, palleggiatore, avevo subito un infortunio al gomito, la mia tendenza ad ingrassare, sono finito in un campo di calcio a correre, poi non avevo voglia di correre e mi mettevo a giocare a calcio con i ragazzi, da la gli ho dato una mano a gestire gli allenamenti con l’esperienza che avevo da allenatore. Da li ho iniziato a frequentare l’Isef a Napoli, il professor Franco Savini che è stato il mio modello, la mia famiglia si dedicava ad attività sportive. Trentacinque anni fa non esisteva il ruolo del preparatore atletico per una squadra di calcio, poi piano piano gli allenatori hanno avuto fiducia in noi, ho avuto la fortuna di fare tutte le categorie e vincere tutti i categorie. Ci ho messo quasi 15 anni ad arrivare in Serie A, dall’Ascoli Calcio al 2002 al 2004, poi Treviso e Chievo. Sono stato a Catania come coordinatore generale dell’area atletica nel periodo di Simeone e Montella, poi il passaggio a Genova. Nel calcio devi organizzare dei programmi in funzione ad un modello di prestazione, hai delle caratteristiche individuali di un giocatore e rispettare queste caratteristiche, lavorando in un contesto di squadra. Circa vent’anni fa ho trovato una soluzione: costruire il piano di allenamento in funzione del tipo di prestazione, rispettando le capacità del singolo calciatore. Questo sistema farlo a mano è impossibile, con i monitoraggi che facciamo oggigiorno, farlo con strumenti di alta tecnologia ti permette maggiore perfezione. Con il training effects monitoriamo e verifichiamo gli allenamenti dal punto di vista tecnico sportivo e fisiologico, il sistema viene settato in base alle esigenze dell’allenatore, è un contenitore dove raccogliere le informazioni del medico, del fisioterapista, dal campo nella parte tecnica ed atletica, ed ovviamente avere tutto a disposizione in pochi secondi. Ridimensionare tutto ad un calo di prestazione a volte è una comodità didattica, però di sono tantissime cause che lo determinano, la prestazione non cala drasticamente, controllare la condizione di ogni singolo quanto sale e scende è fondamentale, un giocatore non è mai al 100%, ma il massimale è intorno al 70%/80%, influiscono fattori psicologici, l’avversario eccetera, ma ridurre tutto ad una variabile è riduttivo. Il problema è sempre quella parte agonistica che investe l’aspetto nervoso, l’avversario dal punto di vista del carattere eccetera. Doping nel calcio? Come team assolutamente no, io sono contro il doping, il mio metodo è per attività di fitness e salute, sono legate a concetti al contrario del doping. Il doping eleva in proporzione dell’1/2% la prestazione, in uno sport individuale dove contano a livello internazionale 5-6 secondi fanno la differenza, la poca professionalità di qualche medico e qualche biochimico inducono l’atleta di abusare di questo aspetto, sottovalutando la capacità del patrimonio biologico e genetico dell’individuo. Il doping va condannato ed allontanato dalla sport”.