Un americano a Padova. L’11 luglio scorso, Alexi Lalas è tornato nella Città del Santo dopo 23 anni: Stadio Euganeo, centro città, Stadio Appiani, l’abbraccio con gli ex compagni e con i tifosi biancoscudati.

Nel video la tappa integrale di Lalas allo Stadio Appiani, dove ha ritrovato Sergio Giordani, il presidente Daniele Boscolo Meneguolo, l’ex capitano Damiano Longhi, Filippo Maniero, Franco Gabrieli e l’ex massaggiatore Rino Baron.

Alexi Lalas è tornato oggi a Padova a distanza di 23 anni, la prima volta dopo l’esperienza in Serie A con la maglia biancoscudata. Prima tappa della giornata per l’ex difensore americano, lo Stadio Euganeo: “Sono molto emozionato, tornare qui dopo 23 anni è qualcosa di indescrivibile e di toccante. Perché qui sono cresciuto prima di tutto come uomo e poi come calciatore. Quella Serie A era fortissima, dovevo marcare gente come Baggio, Stoichkov, Balbo, Del Piero, era difficile eh? Non ero sicuramente il più forte difensore, ma sicuramente ero il più bello. E lo sono anche adesso. Quando arrivai a Padova ricordo che dissi a Marco Franceschetti mi serviva un fax, adesso non si usa più, ma al tempo era fondamentale e mi serviva. È emozionante tornare qui, spero di aver portato un’altra mentalità in Italia, non ho mai voluto cambiare la mentalità del calcio italiano, ma ho voluto cercare di far capire che c’è anche un altro modo di vedere le cose. A volte abbiamo vinto, altre volte abbiamo perso. Al tempo le squadre italiane potevano tesserate soltanto tre stranieri, io, Vlaovic e Kreek: era difficile giocare in Italia, poi le cose sono cambiate. Quando mi dissero che il Padova mi voleva, non ci pensai due volte ad accettare. Il gol al Milan? Ho pensato che magari ero in fuorigioco, oggi col Var forse me l’avrebbero annullato. Giocare a calcio per me era qualcosa di incredibile, farlo nel campionato italiano poi era qualcosa di pazzesco. Sono rimasto in contatto con Galderisi, Franceschetti e Michel Kreek. La vita di un calciatore non sono soltanto i 90 minuti in cui si gioca la partita, ci vogliono amicizia e rispetto, vivevo ad Abano Terme e le relazioni erano la prima cosa. Grazie alla squadra nazionale americana, perché ha fatto un Mondiale eccezionale, hanno espresso un gioco anti-italiano se così vogliamo dirlo. Un gioco propositivo e che ha dato un messaggio bellissimo. Non me ne frega niente se il calcio è maschile o femminile, per me può essere anche entrambi assieme, basta divertirsi e cercare di fare gol. Perché 23 anni dopo? Perché non c’è stata l’opportunità, dovevo sempre lavorare, ma mia moglie e i miei figli sono stati felicissimi di accompagnarmi. Ai tifosi del Padova voglio dire grazie, era un altro tempo e un altro mondo. Il Padova è una squadra che rappresenta una città con tanta storia, ma se non ritorneremo a questi livelli non sarà un dramma. Lo scudo non cambierà, cambieranno proprietari, giocatori e dirigenti, ma questo scudo resterà sempre. È una questione di fede, di modo di vivere. Non c’è un giorno che io non abbia pensato in qualche maniera a Padova o che Padova non mi abbia lasciato qualcosa dentro, più che come calciatore, come uomo. Non sarò stato il più forte giocatore del mondo, non sarò stato il più forte calciatore d’America, però ero… e sono… il più bello”.