Il 21 Ottobre 1915, esattamente 101 anni fa, moriva a 21 anni a San Michele del Carso in seguito ad un bombardamento austriaco, Silvio Appiani, dottore in farmacia, arruolato da volontario in fanteria nell’esercito italiano. Il suo nome è legato indelebilmente al Calcio Padova di cui fu il capitano, allenatore e capocannoniere con 18 reti in 16 partite prima dello storico conflitto. A lui nel 1924 fu intitolato lo Stadio Appiani in via Giosuè Carducci.


Fonte: Stefano Volpe per Il Mattino

PADOVA. La leggenda compie 101 anni. Ma il suo nome è ancora fortemente attuale. Esattamente un secolo ed un anno fa, il 21 ottobre 1915, moriva sul Carso Silvio Appiani, caduto sotto i colpi di un bombardamento austriaco. E il giorno in cui il giovanissimo Calcio Padova perdeva il suo calciatore più forte, iniziava un “mito” destinato a legare indissolubilmente il suo nome a quello del Biancoscudo.

Il nome Appiani, per tutti i padovani, identifica soprattutto lo stadio simbolo della storia del Calcio Padova. Un impianto inaugurato nove anni dopo la morte del giocatore, che era nato a Vicenza il 21 settembre 1894, e rimasto la casa del Padova per 80 anni, in cui si sono vissuti i momenti più fulgidi della storia della squadra, riuscita a creare nel tempo una simbiosi unica e inimitabile con il suo stadio.

E questo avrebbe sicuramente inorgoglito lo stesso Silvio Appiani, che nella sua brevissima carriera fu esempio di passione e carisma. Oltre che di una classe molto rara. Chissà che posto occuperebbe nella storia del calcio italiano, magari anche mondiale, Appiani, se non avesse deciso di arruolarsi come volontario per difendere la Patria. Sarebbe potuto diventare un grandissimo, basti pensare che i suoi record con la maglia biancoscudata difficilmente potranno essere battuti.

La stagione di grazia è quella 1914/15, in cui segna la bellezza di 18 gol in 14 partite di campionato, ad appena vent’anni. Quindi arrivano la guerra, la decisione di arruolarsi, la morte e una leggenda che, al giorno d’oggi, è mantenuta viva da Francesca, una pronipote. A lei e ad un gruppo di amici e appassionati va il merito di aver fatto installare in via Carducci una targa in ricordo di Silvio, all’ingresso dello stadio, oltre che di essersi battuti per scongiurare l’abbattimento dell’impianto: «E sono molto contenta di contenta di come i lavori di restauro stanno mantenendo in vita lo stadio Appiani», sorride Francesca. «L’importante è riuscire a tramandarne la memoria, come mi diceva mio nonno, nipote di Silvio, che mi ha trasmesso la passione per il Padova e per lo stadio».

Francesca adesso vive in Friuli per lavoro, ma quando può, continua ancora a seguire le sorti biancoscudate. Nel nome del prozio. «In suo ricordo mi restano le parole di mio nonno e tanti aneddoti che ho sentito e cercherò di tramandare. Silvio era una persona coraggiosa, altruista e libera. Il calcio all’epoca era ancora agli albori, ma credo che lui già si potesse definire un leader. Capitano e punto di riferimento per i compagni, resterà memorabile la volta in cui, per protesta contro le decisioni arbitrali, fece ritirare la squadra. E tutti i compagni lo seguirono».